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Un portale a cura di Marco Ilardi

Complesso monumentale Santa Chiara

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La costruzione del complesso monumentale di S. Chiara ebbe inizio nel 1310, per volontà del re Roberto d’Angiò e della sua seconda moglie Sancia di Maiorca.

I lavori, furono eseguiti sotto la direzione di Gagliardo Primario e Lionardo di Vito. Nel 1340 la chiesa fu aperta al culto.
La cittadella francescana fu realizzata costruendo due conventi contigui ma separati: uno femminile, destinato ad accogliere le clarisse, e l’altro maschile, ospitante i frati minori francescani.
La chiesa si presenta oggi nelle sue originarie forme gotiche, con una facciata a larga cuspide, nella quale è incastonato l’antico rosone traforato, con il pronao dagli archi a sesto acuto e l’interno con un’unica navata, su cui si aprono dieci cappelle per lato. La copertura è a capriate.
Alle spalle dell’altare è situato il Coro delle clarisse, composto da tre navate.

Su una parete sono visibili i frammenti di un affresco raffigurante la Crocifissione, in cui si riconosce la mano di Giotto, chiamato a decorare le pareti della chiesa nel 1326.

I monumenti funebri, situati nel presbiterio, furono realizzati da scultori trecenteschi come Tino di Camaino, che lavorò alle tombe di Carlo di Calabria e di Maria di Valois, e i fratelli Bertini, cui si deve il sepolcro di Roberto d’Angiò.

Nel 1742 la chiesa subì delle modifiche ad opera dell’architetto Vaccaro. Fastosi rivestimenti donarono al complesso un aspetto barocco: l’interno fu ricoperto da marmi policromi, stucchi e cornici dorate; il tetto a capriate fu nascosto da una volta affrescata da grandi pittori dell’epoca, quali de Mura, Conca, Bonito e de Maio; Massotti si occupò dell’altare maggiore, mentre il pavimento in marmo fu eseguito da Fuga.
Il 4 agosto del 1943 la chiesa fu quasi del tutto distrutta da un bombardamento aereo.

Essa fu ricostruita e restaurata sotto la direzione di Mario Zampino, secondo l’originario stile gotico. Dieci anni dopo, il 4 agosto del 1953, la chiesa fu riaperta al culto.

Il Presepe napoletano


All’ingresso del Chiostro, sulla destra, si accede alla sala dove è conservato un presepe con pastori del Settecento e dell’Ottocento.

In esso sono rappresentati personaggi e scene della vita quotidiana dell’epoca, riprodotti con minuziosa cura, financo nell’utilizzo della stoffa allora di uso comune.

Inoltre, nel rispetto della tradizione presepiale napoletana, la scena non si limita alla sacra famiglia ma si allarga, fino a raffigurare icasticamente uno spaccato tipico di quella Napoli.

In questo contesto realistico i personaggi sacri sono invece rappresentati secondo i canoni della tradizione figurativa cristiana.
La natività, infine, non è ambientata in una stalla, bensì in un monumento romano diroccato. Questa peculiarità simboleggia il trionfo del cristianesimo sul paganesimo, ma è anche riflesso del grande interesse suscitato dalla scoperta dell’area archeologica di Ercolano, avvenuta agli inizi del XVIII secolo.

Il Chiostro Maiolicato


Il Chiostro Maiolicato del monastero ha subito nel corso dei secoli varie trasformazioni. La più importante è stata eseguita da Vaccaro, tra il 1742 e il 1769, durante il badessato di Suor Ippolita Carmignano.
La struttura trecentesca, composta da 66 archi a sesto acuto poggianti su 72 pilastrini in piperno, è rimasta invariata, mentre il giardino è stato completamente modificato. Il Vaccaro ha realizzato due viali che, incrociandosi, hanno diviso il giardino in quattro settori.

Fiancheggiano i viali 66 pilastri a pianta ottagonale, rivestiti da maioliche con scene vegetali. Le decorazioni delle maioliche si devono agli artigiani Donato e Giuseppe Massa, che hanno armonizzato la policromia del Chiostro con tutti gli elementi architettonici e naturali circostanti.
I pilastri maiolicati sono collegati tra loro da sedili sui quali, con la stessa tecnica, sono rappresentate scene tratte dalla vita quotidiana dell’epoca.

Le pareti dei quattro lati del chiostro sono interamente coperte da affreschi secenteschi, raffiguranti santi, allegorie e scene dell’Antico Testamento.

Il Museo dell’Opera


Al termine di due dei bracci del Chiostro è posto l’ingresso al Museo dell’Opera. Suddiviso in quattro sale, il museo restituisce uno spaccato di storia napoletana, dall’antichità al XX secolo, e conserva alcuni tesori scampati al bombardamento del 1943.

Nella Sala Archeologica sono raccolti i reperti rinvenuti durante gli scavi e i restauri. Nel secondo ambiente, la Sala della Storia, sono ricostruite le vicende e le vicissitudini del complesso monumentale nel corso dei secoli.

La terza sala è quella cosiddetta dei Marmi, dove sono allocate statue e decorazioni marmoree, ivi collocate dopo il bombardamento della chiesa, nonché una parte dei fregi che ornavano le celle delle clarisse, riproducendo gli stemmi delle famiglie nobili da cui alcune di esse provenivano.

Nella Sala dei Reliquiari, posta su un piano soppalcato, si conservano infine paramenti sacri, corredi liturgici e reliquie, oltre al busto ligneo dell’Ecce Homo, opera rinascimentale di Giovanni da Nola.

L’Area Archeologica


L’itinerario prosegue nell’Area Archeologica, dove si trovano resti di uno stabilimento termale romano scoperto nel dopoguerra, che, presumibilmente, apparteneva a una villa patrizia.

Le terme sono la testimonianza più completa a noi pervenuta delle antiche thermae di Neapolis, di struttura simile a quelle di Pompei e di Ercolano.

Esse risalgono alla fine del I secolo d. C., e i relativi condotti idrici facevano parte dell’acquedotto del Serino.

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