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Un portale a cura di Marco Ilardi

Il ragù napoletano: tra gusto e tradizione

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Il ragù napoletano, anche detto in gergo napoletano ‘o rraù, ha origini antiche, benché sia rimasta una ricetta abbastanza invariata nel tempo.

In quest’articolo, tra leggende, tradizioni e curiosità, scopriremo come questo sugo emblematico della regione Campania sia diventato un vero e proprio simbolo della napoletanità nel mondo insieme alla pizza e al caffè.

La vera storia del ragù napoletano

Quella che avete appena letto, però, non può che essere una leggenda: testimonianze storiche dimostrano che il pomodoro, ingrediente base per la preparazione del ragù, viene conosciuto solo verso la metà del Cinquecento.
Essendo però un frutto del tutto nuovo e sconosciuto, non sarà visto di buon occhio ed eclissato, non incluso in cucina: le prime sperimentazioni con questo alimento si avranno solo in pieno Settecento, quando la regina Maria Carolina d’Austria, sorella della celebre Maria Antonietta regina di Francia, introdurrà nelle sue cucine reali la figura del Monsieur le Chef, chiamato dal popolo monzù.
E sarà proprio lui a portare in tavola piatti elaborati e deliziosi, come il famoso gâteau di patate e a ideare un piatto che presentava come ingrediente principale il pomodoro: il ragoût.
La parola dal monzù non è stata scelta a caso: ragoût, parola francese, significa “risvegliare l’appetito” ed era già all’epoca una pietanza a base di sugo e carne da usare come condimento per la pasta.

La nascita di una leggenda

Il ragù napoletano è la pietra miliare per eccellenza nella cucina tradizionale napoletana.
Il mito di questo prelibato piatto nasce intorno al Trecento, periodo in cui a Napoli esisteva la Compagnia dei Bianchi di giustizia, la quale girava per la città predicando valori quali la misericordia e la pace.
A quell’epoca, nella città viveva Carlo, imperatore di Costantinopoli, che, come ospite, aveva un signore davvero molto scortese, accecato dall’ira e dal rancore verso il prossimo.
La Compagnia riuscì a far riappacificare chiunque, tranne lui; e sua moglie, per cercare di addolcirlo, gli preparò un piatto di maccheroni. Questo gli arrivò a tavola, ma in una salsa piena di sangue che la Compagnia vi aveva in precedenza aggiunto.
Pensando fosse un miracolo, il signore molto scortese si intenerì, riappacificandosi con chiunque e decidendo di prendere il saio bianco della Compagnia dei Bianchi di giustizia.
La moglie, incredula, gli preparò in seguito un altro piatto di maccheroni, che diventarono nuovamente rossi: ma stavolta la pietanza aveva odore e sapore squisiti.
Ed è proprio da qui che nasce la leggenda del rraù.

Il ragù napoletano oggi

Il ragù napoletano continua tutt’oggi ad essere un piatto apprezzatissimo e non solo a Napoli, ma in tutta Italia e in tutto il mondo. È un piatto che secondo la tradizione viene cucinato di domenica, utilizzando il sugo molto saporito per condire la pasta e la carne in cui ha cotto come portata secondaria.
Cucinare un ragù non è difficile, ma richiede pazienza: la cottura lenta porta a tempistiche molto lunghe; c’è chi lo fa cuocere tre ore se va di fretta, ma anche chi cinque e più ore.
Il sugo deve pippiare, parola che viene utilizzata per imitare il rumore che fa la salsa quando, stando a lungo sul fuoco, inizia a sobbollire.
Non esiste una carne specifica da utilizzare nel ragù napoletano; in varie zone di Napoli vengono utilizzati anche tagli completamente differenti: c’è chi usa tagli magri e nobili del manzo o del maiale, le polpette, le salsicce, i nervetti, le braciole o gli involtini di cotenna.
Insomma, ci si può ampiamente sbizzarrire e usare il tipo di carne che più piace o addirittura usarne di vari tipi assieme, per rendere il ragù ancora più saporito!

Ricetta tradizionale del ragù napoletano

Preparare un buon ragù è semplicissimo: come la maggior parte dei piatti napoletani, anche il ragù non richiede ingredienti difficili da reperire; la carne buona ovviamente renderà il piatto ancora più speciale e gustoso.

Ingredienti

• 1 kg di muscoli di manzo
• 2 litri di passata di pomodoro
• Olio d’oliva
• 2 cipolle medio-grandi
• Costine, salsicce o tracchie di maiale
• Vino rosso secco
• Basilico
• Sale

Procedimento

Affettate le cipolle molto sottili e fatele soffriggere con abbondante olio d’oliva a cui poco dopo aggiungerete la carne; quando vedrete che le cipolle si stanno restringendo e la carne colorando, aggiungete il vino.
Quando questo sarà sfumato quasi del tutto aggiungete il pomodoro: mi raccomando, fino all’aggiunta del pomodoro non perdete d’occhio la pentola, perché carne e cipolle potrebbero bruciarsi!
Una volta aggiunto il pomodoro, lasciate andare a fuoco lento e solo quando starà iniziando a pippiare coprite con il coperchio. Salate a piacere e aggiungete abbondante basilico. Ricordatevi che un buon ragù deve cuocere almeno tre ore.

Regola d’oro: fallo pippiare

Ma cosa significa che il ragù napoletano deve pippiare?

Il termine pippiare significa letteralmente “sbuffare”, cioè, cuocere a lungo fino a sembrare acqua portata a bollore.

Secondo il dizionario del Corriere – ripreso anche in un articolo di Napoli Today – pippiare significa anche pensare. “Il termine indica un tipo di cottura prolungata e a fuoco lento di un umido, un intingolo o una salsa. Ma pippiare è anche il caratteristico sbuffo del ragù che, sobbollendo, libera una bolla per volta”.

Nonostante ogni famiglia napoletana abbia la propria ricetta segreta per preparare un ragù napoletano a regola d’arte, c’è una cosa su cui troverete sempre tutti d’accordo: il ragù per avere sapore deve pippiare. Questo modo di vedere e interpretare il processo di cottura ha un non so che di poetico, perché, proprio come ci dice il Corriere, pippiare è anche un sinonimo di pensare e questo fa presagire che per essere buono, ma buono davverò, il ragù deve raggiungere una sorta di “stato di maturazione e di saggezza” che gli permetterà di raccontare tutta la tradizione di Napoli e della sua gente a chiunque vorrà scoprirne i sapori.

Senza scarpetta non è un buon ragù

La prova del nove per capire se il tuo ragù napoletano è piaciuto ai commensali a tavola? La scarpetta con il pane. Perché del ragù – quando è buono – non si lascia niente nel piatto, nemmeno un residuo.

Ci sono due possibili spiegazioni di come ha avuto origine la scarpetta fino a diventare un’usanza tutta italiana: secondo una teoria, il pane potrebbe essere paragonato a una scarpa che “percorrendo” il piatto raccoglie ciò che trova, allo stesso modo in cui un pezzo di pane raccoglie la parte più deliziosa del cibo. La seconda spiegazione collega l’atto di raccogliere il cibo dal piatto alla parola “scarpetta”, intesa come un tipo di calzatura leggera e flessibile, alludendo all’azione di una persona molto affamata o povera. Non possiamo essere certi di quale sia la vera origine di questa deliziosa abitudine, ma siamo tutti d’accordo che senza la scarpetta non possa esserci gusto a tavola!

Il ragù come fonte d’ispirazione dell’arte napoletana

Eduardo de Filippo, attore, regista e poeta emblematico napoletano, ha celebrato anch’egli a modo suo la tradizione del ragù napoletano, scrivendo una poesia: ‘O rraù.

“ ‘O rraù ca me piace a me
m’ ‘o ffaceva sulo mammà.
A che m’aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
Io nun songo difficultuso;
ma luvàmmel’ ‘a miezo st’uso.

Sì, va buono: comme vuò tu.
Mò ce avéssem’ appiccecà?
Tu che dice? Chest’è rraù?
E io m’ ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià…
M’ ‘a faje dicere ‘na parola?
Chesta è carne c’ ‘a pummarola.”

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